Non si fanno i processi alle intenzioni. Lo abbiamo sempre detto e lo ribadiamo anche oggi. Però avremmo voluto capire qualcosa di più dalle dichiarazioni programmatiche del presidente della Regione, Francesco Pigliaru. Abbiamo visto brillare sul suo petto e su quello degli assessori del centrosinistra delle medaglie d’oro, che si sono appuntanti da soli, per la competenza, la trasparenza, la semplificazione, la lotta alla mala-burocrazia. Ancora però non abbiamo compreso quali prove abbiano sostenuto o intendano sostenere per giustificare il riconoscimento di simili onori. L’autorevolezza o si conquista con i fatti o è solo autoreferenzialità. Non si può nascondere una certa delusione per le dichiarazioni del Pigliaru professore, che forse avrebbe potuto argomentare meglio la sua linea politica per i prossimi cinque anni. Il Pigliaru politico fosse è stato più furbo, evitando accuratamente di toccare questioni che possano far emergere fin dall’esordio le contraddizioni interne alla sua coalizione.
Ecco alcuni aspetti sui quali avremmo preferito sentire affermazioni più chiare.
1) Sul patto di stabilità e sulle questioni aperte con lo Stato centrale, che condizioneranno gran parte degli impegni per il futuro, non ha indicato una via precisa e ha dato l’impressione, con riferimento alle cifre, di prepararsi ad una trattativa al ribasso (Lo ha spiegato bene l’ex assessore alla Programmazione, Alessandra Zedda, su “L’Unione Sarda” di oggi). Pigliaru ha citato una sentenza della Corte Costituzionale che dà ragione alla Sardegna, ma in maniera poco elegante ha omesso che tale decisione nasce da un ricorso della Giunta Cappellacci. Non è nel suo stile “anglosassone”, ma in quello di qualche capobastone di partito sì;
2) Per quanto riguarda i trasporti aerei ha fatto un riassunto delle puntate precedenti, ma non ha illustrato in maniera compiuta l’indirizzo politico della Giunta.
3) Sulla continuità marittima e sul sistema Tirrenia si è limitato a parlare di rinegoziazione della convenzione. E’ un obiettivo minimo. Il traguardo deve essere un altro: il passaggio delle funzioni e delle risorse alla Sardegna. Altrimenti saremo sempre in balia di decisioni prese da altri. Anche in questo caso c’è una sentenza che, su ricorso della precedente Giunta, chiarisce che la Sardegna non può più essere esclusa dai procedimenti sulla continuità marittima. Ne faccia buon uso;
4) In una Regione che soffre una stretta sul credito doppia rispetto ad altre aree italiane, gli impegni su questo fronte sono generici e insufficienti. Come sostenuto anche dal leader di Confindustria, Alberto Scanu, è necessario preservare delle misure adottate dalla precedente Giunta, come il fondo di garanzia. Mi permetto di suggerire anche il microcredito, che ha dato la possibilità a migliaia di persone “non bancabili” di realizzare la loro idea imprenditoriale;
5) Il presidente ha taciuto su tre settori fondamentali per la nostra economia: Agricoltura, Industria, ICT;
6) Per quanto riguarda le infrastrutture ha fatto cenno a programmi già avviati, come le metropolitane di Cagliari e Sassari;
7) Quando ha parlato di “demagogia” era chiaro il riferimento alla fiscalità di vantaggio e la sua adesione alle tesi ideologiche di una parte della sinistra;
8) Le dichiarazioni sul piano paesaggistico arrivano dopo una delibera che ha annullato la revisione del piano: un passo indietro e non un passo in avanti verso un esame a 360 gradi della materia;
9) Le dichiarazioni programmatiche sono a dir poco lacunose sulla riforma del Titolo V promossa dal Governo Renzi. Un artificio per evitare che emergano subito le “diverse sensibilità” presenti in maggioranza, da Gavino Sale allo stesso Pigliaru (che fino a poco tempo fa predicava una rinuncia alla sovranità a favore dell’Unione Europea)?
10) Non è chiaro il riferimento al percorso post abolizione delle province. La Sardegna, grazie anche ai referendum, ha intrapreso un cammino assai più ambizioso di quello, un po’ cerchiobottista, avviato dal Governo Renzi, ed è necessario portarlo avanti con determinazione. L’auspicio è che il presidente scontenti una parte importante della sua maggioranza, che si schierò apertamente contro l’abolizione delle province.