Qualche giorno fa ho ricevuto via e-mail un cortese invito da parte del mio amico Paolo Truzzu ad assistere a un dibattito dal titolo “S.Elia, ultimo stadio?” Purtroppo non ho potuto partecipare a causa di impegni concomitanti con l’evento. Mi sarebbe piaciuto esserci, ascoltare i relatori e magari anche ribadire alcune idee che all’epoca del mandato in Consiglio Comunale ho provato a sostenere con coerenza (talvolta arrivando a uno strappo tra il gruppo che presiedevo, Alleanza Nazionale, e una parte della maggioranza). Idee che trovarono anche una certa condivisione nella mozione proposta con alcuni colleghi (ricordo in particolare Angius, Tavolacci e Tumatis) e approvata dal Consiglio Comunale.
Trattare il tema dello stadio significa affrontare una questione che si svolge su più livelli: il quartiere, la città, la Sardegna. Se non si tiene conto di questo, si rischia ancora una volta di affrontare la questione in maniera parziale e non del tutto soddisfacente.
La realizzazione di un nuovo impianto sportivo, a mio avviso, avrebbe avuto due nobili funzioni: in primo luogo, quella di mantenere per tutta l’area in questione, sulla quale sono sempre vivi gli appetiti degli speculatori, una destinazione a verde e servizi al fine di “non indurre in tentazione” amministratori presenti, passati e futuri. In secondo luogo, il nuovo stadio S. Elia sarebbe potuto essere il propulsore di un processo diretto a realizzare un nuovo quartiere S. Elia.
Vista dall’alto, la zona in questione presenta già numerosi spazi destinati allo sport (i campi S. Elia, lo stadio Amsicora, l’Esperia, il palazzetto dello Sport e tanti altri ancora). Occorre avere il coraggio di prendere atto di ciò che già c’è e farne un vero e proprio sistema: la cittadella sportiva evocata in molti programmi elettorali ma mai realizzata in concreto. Una nuova struttura di dimensioni ridotte rispetto a quella attuale potrebbe offrire l’occasione per circondare lo stadio con un vero e proprio parco, corredato da percorsi per fare jogging e fitness che abbraccino il quartiere dal lato del parcheggio a cuore e da quello del Lazzaretto. Dietro il parcheggio a cuore c’è un bellissimo lungomare (consiglio di fare un salto a piedi), che potrebbe essere un elemento di cucitura con il resto della città: per esempio, attraverso un ponte per pedoni e biciclette che vada a completare il collegamento con viale Colombo, la Pineta e il molo Ichnusa. Il vero lungomare di Cagliari infatti è per me da Giorgino fino alla cosiddetta Torre del Prezzemolo. Se poi riuscissimo a immaginare anche un’area per gli sport acquatici e per il diving sarebbe “cosa buona e giusta”.
I percorsi sportivi possono essere arricchiti da quelli naturalistici: penso ai collegamenti con il colle di S. Elia, con la Sella del Diavolo e con il Parco Molentargius-Saline. Il parco di cui sopra potrebbe essere l’elemento che unisce un unico complesso naturalistico. Se non erro, qualche anno fa proprio l’attuale sindaco avanzò una proposta condivisibile: quella di collegare Cala Mosca con Marina Piccola attraverso una strada che già allo stato attuale attraversa la zona militare e collega i due siti. Tutti questi elementi, messi insieme, potrebbero dare una nuova vitalità e dare respiro a un quartiere oggi soffocato e scollegato dal resto della città. Un quartiere in cui, a mio avviso, non deve essere colato neppure un metro cubo di cemento in più. Per quanto riguarda i “palazzoni”, mi rendo conto che non è facile, ma l’unica via è quella della demolizione e ricostruzione dell’esistente. Chi ha progettato quel rione ha compiuto un delitto imperdonabile, rubando qualità della vita ai cittadini che vi hanno abitato in questi decenni. Bisogna riparare, anche se dovesse comportare un sacrificio in termini di consenso politico. Via le piastre, ma via anche tutti i cunicoli per costruire un’alternativa a uno degli spazi più belli della nostra città. In passato è stato fatto un errore: qualcuno è partito dai progetti, assumendo una posizione ideologica e chiusa al confronto, e poi ha chiesto ai cittadini di conformarsi. Occorre seguire il procedimento opposto: partire dai desideri di chi vive il quartiere e trasformarle democraticamente in progetto, in pianificazione urbanistica. Se fossi un amico dell’attuale sindaco, gli consiglierei di considerare quella per la riqualificazione del rione S. Elia la “madre di tutte le battaglie”. Per poterla affrontare non può trovarsi sul groppone quello che prima o poi, senza una squadra di serie A al suo interno, diventerebbe un rudere destinato a sfregiare il quartiere o l’alibi per cedere il passo alla cementificazione del quartiere. Lasci perdere l’incitamento dei pasdaran del nulla che avanza e da uomo delle istituzioni riprenda il dialogo con il Cagliari Calcio e con tutti gli attori coinvolti.