Duecentomila euro per una palazzina (malridotta, assicura il venditore) in via Garibaldi, a Cagliari: due locali commerciali più due piani. Vendita o svendita? Complimenti a chi ha comprato, senza dubbio. Meno a chi ha venduto: il Comune, che evidentemente di soldi non ha bisogno.
Non era in vena di complimenti ieri sera il Consiglio comunale: maggioranza e opposizione, incredibilmente compatte, hanno affrontato a muso duro il sindaco Emilio Floris e gli assessori – Gianni Chessa per primo -, costretti sulla difensiva per l’ennesimo affare (per chi?) immobiliare. Finale imprevedibile di una seduta che sino a quel momento era stata produttiva: approvati all’unanimità l’ordine del giorno sul traffico e la mozione della commissione Servizi sull’avvio della raccolta differenziata a Cagliari.
A causare lo scontro è una interrogazione urgente presentata da Alleanza Nazionale (primi firmatari Alessandro Serra e Gialeto Floris) ma sottoscritta anche da Claudio Cugusi (Prc-Se), dal capogruppo di Forza Italia Anselmo Piras, da quello dei Riformatori Giorgio Angius e via via da diversi consiglieri dell’Ulivo e del Gruppo Misto.
L’oggetto? Nel caso specifico, una palazzina in via Garibaldi, s’è detto. Sarà stata pure malridotta, come ha assicurato l’assessore, ma che cosa si compra oggi a Cagliari con duecentomila euro? Ed è solo un esempio, l’ultimo di una lunga serie di cessioni a prezzi di saldo. Concluse, è bene ricordarlo, in un momento in cui le casse di via Roma non navigano nell’oro.
Il testo dell’interrogazione è chiaro: centrodestra e centrosinistra chiedono al sindaco «se ritenga opportuno, laddove possibile, in sede di autotutela, procedere alla revoca degli atti diretti all’alienazione degli immobili in presenza di evidenti condizioni di danno al patrimonio comunale». Una presa di posizione decisa, e resa ancora più pesante dall’ampiezza dello schieramento che la sostiene.
Altrettanto netta la risposta del sindaco: le cessioni sono legittime, perché seguono i regolamenti in vigore. In sostanza, la Giunta avrebbe le mani legate: «Quello che possiamo fare», spiega Floris, «è mettere per iscritto l’ordine di non procedere alla stipula di nuovi contratti di vendita». Per cambiare regime, quindi, è necessario innanzi tutto cambiare le regole: «Oggi, come due mesi fa, il Consiglio si esprime in maniera decisa sulle vendite: cambiamo il regolamento. Sono il primo a dirlo, ma serve una delibera di Giunta o di Consiglio».
Sulla stessa linea la difesa dell’assessore al Patrimonio: «Quello di via Garibaldi è un palazzo inagibile, vetusto: non stiamo svendendo», sostiene Chessa. «Probabilmente si poteva vendere a qualcosa di più, ma la valutazione sui prezzi è di competenza degli uffici tecnici». Tanto più, continua l’assessore, che «la delibera è un indirizzo amministrativo che poi passa ai dirigenti comunali». I quali poi stabiliscono le “determine”, documenti che hanno valore di atti dirigenziali: sarebbe insomma il dirigente dell’assessorato a portare avanti, e concludere, i contratti di cessione.
Tutto regolare, dal punto di vista delle procedure: «Il comportamento del dirigente», conferma il sindaco, «in questo caso è inoppugnabile». Proprio l’attività dei funzionari degli assessorati, comunque, è di nuovo sotto esame: troppi i poteri in mano ai dirigenti. Ad attaccare, in questo senso, sono i consiglieri del centrosinistra. «Due mesi fa proponemmo di bloccare le vendite di immobili», sostiene Massimo Zedda (Ulivo), «e l’assessore spiega oggi che il dirigente ha venduto basandosi sulla differenza fra “appartamento” e “locale commerciale”. Sembra, come minimo, una mancanza di rispetto nei confronti del lavoro del Consiglio».
«Il sindaco e la Giunta devo assumersi le proprie responsabilità», rincara il collega di partito Ninni Depau: «Scelgono i dirigenti, hanno con loro un rapporto fiduciario e sembra che questi possano fare tutto». Superando, di fatto, quello che si decide in aula.
La richiesta, precisa, arriva da Giuseppe Macciotta: «Il sindaco deve revocare tutti gli atti, anche quelli passati, per non creare aspettative nei cittadini sui beni del patrimonio». L’avvocato non risparmia le critiche: «Quello che le parole del sindaco e dell’assessore determinano è un quadro disarmante. Una commedia, ma su cui non c’è niente da ridere». Le vendite, spiega ancora Macciotta, «ma sarebbe meglio dire le svendite, sono contrarie all’interesse pubblico: quindi non sono legali».
Attenzione, avverte il sindaco Floris, a usare parole troppo pesanti: «Tutte le vendite sono fatte in maniera legale: parlando di svendite si potrebbe incorrere in querele». Una minaccia rispedita al mittente dallo stesso Macciotta: «Sono pronto a confermare che quelle vendite sono contrarie all’interesse pubblico, dunque non legali», risponde l’avvocato, «e sfido il dirigente a querelarmi».
di Marco Murgia (www.altravoce.net)