Ricevo e volentieri pubblico il seguente scritto del dott. Emilio Belli, che ringrazio per il suo contributo ed i suoi continui suggerimenti.
Per valutare meglio quale impatto possano avere certe soluzioni avveniristiche in un contesto particolare come quello di Castello si deve tener presente che nel quartiere convivono strutture di varia epoca e tipologia il cui insieme costituisce la più efficace testimonianza dell’evoluzione urbana di Cagliari dal XIII secolo alla metà dell’Ottocento.
Castello e le sue fortificazioni – Torri, bastioni e cortine fanno parte integrante della memoria storica di Cagliari, che pur insistendo sul sito dell’antica Karales di fatto trae origine da Castel di Castro, la città-fortezza fondata intorno al 1217 dalla potente famiglia pisana dei Visconti sulla sommità del colle che ospita il quartiere di Castello.
A differenza dell’insediamento romano, esteso prevalentemente in lunghezza tra S.Avendrace e Bonaria, venne privilegiato un luogo che per le sue caratteristiche meglio si prestava alla difesa, consentendo anche il controllo del sottostante porto di Bagnaria, sola espressione di vitalità nell’ambito di un tessuto urbano devastato dagli attacchi arabi dei secoli precedenti ed a quel tempo pressochè disabitato.
Nel primo decennio del Trecento la sistemazione difensiva era costituita da una cinta muraria a profilo verticale rafforzata da torri, che sui lati rivolti a settentrione e a meridione raggiungeva un’altezza superiore ai 10 metri, e si svolgeva lungo il ciglione dell’altura delimitando un’area di circa 20 ettari. Le strutture di fiancheggiamento erano almeno una ventina ma ne sono sopravvissute soltanto sei, fra cui quelle di maggiori dimensioni poste a guardia delle porte di accesso alla città: la Torre del Leone – oggi incorporata nel Palazzo Boyl – la Torre dell’Aquila, in corrispondenza della Porta di S.Pancrazio e la Torre dell’Elefante. Oltre a queste si conservano in parte anche tre opere minori: il Torrione della Passerina e la Torre Franca, ambedue di tipo cilindrico poste sul fronte settentrionale, e la Torre di S.Lucia, a pianta rettangolare, pertinente a quello orientale. Anche il sobborgo di Stampace, sorto alle pendici occidentali della collina dopo la distruzione della capitale giudicale Santa Igia, era difeso da una muraglia turrita, come testimonia la Torre-porta dello Sperone situata a ridosso della chiesa di S.Michele. Ed altrettanto può dirsi per quello di Villanova, mentre risulta incerta la situazione del quartiere della Marina che in epoca aragonese era sicuramente fortificato.
La struttura urbana – L’attuale configurazione di Castello rispecchia sostanzialmente l’articolazione della città medievale il cui impianto era caratterizzato da un preminente sviluppo longitudinale imposto dalla forma allungata del colle ed evidenziato dall’andamento sinuoso di tre direttrici ancor oggi identificabili. La via Lamarmora, che rappresenta l’asse portante del quartiere, corrisponde infatti alla Ruga Mercatorum, la più importante arteria di epoca pisana lungo la quale sorgevano le abitazioni dei mercanti, i fondaci, cioè i magazzini per le merci, e le apotheche, una sorta di farmacie destinate alla vendita di prodotti medicinali e di spezie. Questa via che costituiva il principale collegamento tra la Porta a mare o del Leone e la Porta di S.Pancrazio transitava per la Piazza del Comune, che oltre ad essere il cuore della citta era anche il luogo in cui si teneva il mercato dei cereali. Intorno ad essa erano situati gli edifici più importanti di Castel di Castro: la Chiesa primaziale intitolata a Santa Maria – dove secondo l’usanza medievale si riuniva il Consiglio Maggiore – l’Episcopio, la Curia del Comune, il Palazzo dei Castellani e la Loggia dei Mercanti destinata alla trattazione degli affari. La via Canelles ripropone invece la Ruga Marinariorum in cui risiedevano gli imprenditori marittimi, mentre la terza, denominata Ruga Comunalis, corrisponde alla odierna via Genovesi. Le fonti ricordano anche la Ruga Liofantis, identificabile grossomodo con Via Corte d’Appello, che partendo dalla torre omonima conduceva al quartiere degli Ebrei.
Il governo della città – La vita cittadina era regolata da uno specifico statuto – il Breve di Castel di Castro – che si rifaceva alle forme istituzionali tipiche dei comuni italiani. Trattandosi di una comunità solo in parte autonoma, il governo era affidato a dei funzionari designati da Pisa, che a seconda delle situazioni politiche ebbero il titolo di Capitani del Popolo, Rettori o Castellani, i quali duravano in carica un anno ed erano coadiuvati da un giudice e da tre notai. Alla gestione finanziaria era preposto un Camerlengo.
Per tutelare i propri interessi la popolazione di Castel di Castro si avvaleva del Consiglio Maggiore e del Consiglio degli Anziani, espressione quest’ultimo delle quattro corporazioni composte dagli abitanti delle strade principali. Si trattava quindi di una comunità molto coesa e ben organizzata composta da artigiani, mercanti, banchieri e marinai che in caso di guerra prendevano parte attiva alla difesa della città.
Data la sua vocazione mercantile, il punto di forza di Castel di Castro era il porto di Bagnaria – denominato anche Lapola – retto da Consoli, eletti annualmente dai mercanti, e dai quali dipendevano gli addetti alle varie attività che si svolgevano nello scalo. Queste venivano disciplinate da uno specifico Breve che permette di conoscere la natura delle merci in transito nel Portus Kallaretani, che risultava piuttosto diversificata in quanto erano abbastanza intensi i traffici marittimi con la Sicilia, Napoli, Gaeta, Marsiglia, Barcellona ed il Nordafrica.
I nomi dei castellani – Gli stemmi e le iscrizioni che compaiono sulle fortificazioni medioevali offrono la possibilità di conoscere i nomi di svariati notabili che governarono la città in epoca pisana. Ad esempio la targa posta sulla facciata esterna della Torre dello Sperone riporta il nome e lo stemma di Grazia Alberti, che nel 1293 rivestiva la carica di Capitano del Comune e del Popolo di Castel di Castro. Per quanto riguarda le grandi torri trecentesche la situazione risulta più complessa, data la molteplicità degli stemmi esistenti, che tuttavia sono ordinati in gruppi di quattro secondo uno schema ben preciso: infatti l’arma di Pisa (in origine colorata di rosso) si trova sempre in posizione dominante sovrapposta a quella di Castel di Castro (cortina merlata con tre torri) che compare al livello
inferiore affiancata dagli stemmi dei castellani in carica. La situazione si ripete fedelmente per gli anni successivi con la sola variazione degli emblemi di famiglia.
Quattro sono i personaggi attestati nella Torre di San Pancrazio:Betto Alliata e Ranieri di Bagno, per il 1305, Jacopo Panevini e Ciolo Martelli per l’anno successivo.
Vent’anni più tardi, in seguito all’affermazione del dominio aragonese, la torre diventò la sede ufficiale del Vicario di Castell de Caller. Ciò comportò anche l’obliterazione dei vecchi simboli: lo stemma degli Alliata fu scalpellato e quello di Pisa sostituito con i Pali d’Aragona.
Sulla Torre dell’Elefante, gli stemmi dei castellani sono ben otto, per cui vi è da a ritenere che i lavori di costruzione siano durati quattro anni. La lapide antistante l’ingresso ne identifica due, Giovanni Cinquini e Giovanni de Vecchi, in carica nel 1307, anno in cui la torre fu impiantata. Quanto agli altri sono note soltanto le famiglie di appartenenza: Raù-Gambacorta, Grassulini-Benigni e Cinquini-di Bagno.
Il castellano meglio conosciuto è senz’altro Betto Alliata, un facoltoso mercante titolare di concessioni minerarie nell’Iglesiente e di certo non privo di cognizioni giuridiche dal momento che viene annoverato tra i revisori del Breve di Villa di Chiesa. E’ noto peraltro che grazie alla stima di cui godeva a Pisa, fece parte della delegazione inviata nel giugno 1309 a Barcellona per trovare un accordo con Giacomo II d’Aragona al fine di allontanare la minaccia d’invasione che incombeva sui possedimenti sardi.
I bastioni spagnoli e piemontesi – Nella nella seconda metà del Cinquecento, per far fronte alla minaccia turca sulla Sardegna, il dispositivo di difesa cagliaritano conobbe un radicale rifacimento che interessò sia il quartiere marinaro sia la parte di Castello. Il primo progetto organico della nuova piazzaforte fu predisposto da Rocco Capellino, prestigioso ingegnere militare di origine cremonese al servizio dell’imperatore Carlo V, che operò in Sardegna per vent’anni a partire dal 1552. A lui si devono quasi tutti i nuovi baluardi della città, compreso il Bastione di S.Croce e l’Opera a Tenaglia di S.Pancrazio, ampliati successivamente da altri due architetti di gran fama: Jacopo e Giorgio Palearo. Sempre ad epoca spagnola risale anche il Bastione del Vicerè costruito nel 1638 al tempo di Filippo IV durante il mandato di Don Diego Aragall. Le fortificazioni di Cagliari raggiunsero il massimo sviluppo nella prima metà del Settecento durante il regno di Vittorio Amedeo II, periodo in cui si colmarono le lacune del precedente assetto. Nel potenziamento delle difese ebbe un ruolo determinante l’ingegnere militare Antonio Felice De Vincenti, al quale si deve la progettazione dell’Opera a Corno di Buon Cammino, del fronte bastionato orientale e della linea di opere avanzate che muovendo dal grande Rivellino di Gesus si estendeva fino alla Porta di Apremont, meglio nota come Porta de s’Avanzada.
Condivido pienamente la dissertazione.Quindi cosa si può salvare del progetto presentato in Comune o quali soluzioni alternative consiglia?